Panni sporchi: come la moda impatta sull’ambiente
Prendo in prestito il titolo della puntata di Presa diretta andata in onda lunedì 9 settembre su rai 3, poiché scopo di questo post è quello di informare tutti sull’impatto ambientale della moda riassumendo il contenuto della puntata, per chi se la fosse persa.
Iniziamo da qualche numero:
– Ogni anno per la produzione di abbigliamento vengono utilizzati 98 milioni di risorse non rinnovabili.
– Il consumo di acqua è pari a 93 miliardi di mq.
– 1,2 miliardi è la quantità di CO2 emessa.
– Produrre una t-shirt in acrilico corrisponde a percorrere 74 km con un’auto di cilindrata media.
– Le fibre tessili sono riciclabili solo se opportunamente prodotte, ma solo l’1% dei capi dismessi viene riciclato. Infatti, i capi prodotti con mischie di fibre diverse o con stampe, o multicolori, non sono riciclabili (la maggior parte dei capi di bassa qualità che acquistiamo oggi).
– La produzione tessile negli ultimi anni è raddoppiata ma la vita media di un capo è diminuita del 36%.
– Solo aumentando la vita dei nostri capi di 9 mesi, riduciamo il loro impatto ambientale del 20%.
– In USA ogni anno si scartano 10.5 milioni di capi il cui peso è pari a 20 volte quello dell’Empire State Building.
– Circa il 40% degli abiti prodotti non viene mai utilizzato.
– 1 indumento viene indossato in media 4 volte.
– Ben 12.000 sostanze chimiche sono state rilevate sui capi che indossiamo, di cui più di 2000 sono altamente inquinanti (es. formaldeide e metalli pesanti) e finiscono in acqua. Inoltre sono cancerogene e creano problemi di salute quali ad esempio infertilità.
– Un quarto delle morti premature sono causate dall’inquinamento e si stima che nel 2040 non ci saranno acque pulite per tutti.
Lo smaltimento dei rifiuti.
Il problema del sistema moda odierno è la scarsa qualità di ciò che produciamo. I capi e gli accessori sono concepiti per costare poco e durare poco. La loro qualità è talmente scadente che non è possibile immetterli nel mercato dell’abbigliamento di seconda mano.
Associazioni come Humana, che si occupano di raccogliere capi usati e dare loro una seconda chance, in modi diversi, si trovano a dover smaltire tonnellate di capi il cui destino è solo quello di finire in discarica. Queste associazioni sopravvivono grazie alla vendita dei capi, ma l’impossibilità di farlo, interrompe il circolo virtuoso di riciclo che dà loro la possibilità di continuare a esistere.
Dove finiscono gli abiti dismessi? Nelle discariche e negli inceneritori. Nel peggiore dei casi, vanno ad alimentare il racket della spazzatura. La loro mole è diventata ingestibile. Sul territorio italiano ci sono 4000 cassonetti abusivi per la raccolta degli abiti usati: fai sempre attenzione a utilizzare quelli di HUMANA o quelli autorizzati dalle autorità locali.
L’inquinamento dei mari
Come già sappiamo i mari sono invasi dalla plastica, ma c’è un problema ancora più insidioso, quello delle MICROPLASTICHE. L’ONU ha dichiarato che nel 2015 le microplastiche presenti nei mari erano 51.000 miliardi.
Le microplastiche sono particelle che non vediamo e non le vedono nemmeno i pesci e gli organismi che filtrano naturalmente le acque marine. Pertanto, queste vengono ingerite causando danni irreparabili alla flora e fauna dei nostri mari.
Da dove vengono le microplastiche? Dal lavaggio in lavatrice di capi fatti con materiali sintetici, le lavatrici non sono infatti in grado di filtrare queste sostanze.
Giusto per farvi un esempio: il lavaggio di una coperta 100% pile da 400 grammi, genera 0,48 gr di microplastiche. Questi residui moltiplicati per tutte le lavatrici mondiali sono molto significativi: uno studio ha dimostrato che le microplastiche prodotte dai lavaggi di una città come Berlino sono tali da corrispondere a 540 mila sacchetti di plastica.
Cosa possiamo fare per evitare l’emissione di microplastiche?
– scegliere capi prodotti con fibre naturali;
– scegliere temperature basse per il lavaggio;
– scegliere centrifughe meno aggressive;
– diminuire la quantità di detersivo;
– utilizzare una GUPPY BAG (trovi le info in questo articolo del blog) – questa soluzione non è stata citata nel programma tv ma mi permetto di suggerirla in quanto è molto efficace.
In ogni caso, la vera rivoluzione inizia da noi consumatori. Dobbiamo essere consapevoli dell’impatto ambientale e sociale dei nostri acquisti. Dobbiamo informarci su come vengono prodotti i capi che indossiamo, se rispettano l’ambiente e i lavoratori e dobbiamo investire sulla qualità e non sulla quantità. Ma prima di tutto, dobbiamo evolvere come individui e capire che quello che ci rende ricchi non è ciò che possediamo.
Questi sono argomenti che ho già trattato in diversi post, quindi non mi ripeterò, puoi trovarli qui:
– sostenibilità per l’anima e il pianeta
– minimalismo, sostenibilità e consapevolezza
Eccoti qualche azienda interessante citata a presa diretta:
RIFÒ: per descriverlo riporto le parole con le quali il marchio si presenta: Rifò – economica circolare- produce capi e accessori di alta qualità, realizzati con fibre tessili 100% rigenerate. Trasformiamo i vecchi maglioni di cashmere in un nuovo filato con il quale realizziamo a km 0 morbidi e soffici prodotti.
PROGETTO QUID: per descriverlo riporto le parole con le quali il marchio si presenta: Progetto QUID è un nuovo marchio di moda che nasce da tessuti di qualità del miglior Made in Italy recuperati localmente per mano di donne con un passato di fragilità.
Progetto QUID nasce dalla volontà di sperimentare il reinserimento lavorativo di donne in difficoltà attraverso il loro impiego in attività produttive che rispondono alle logiche del mercato e che allo stesso tempo stimolano una partecipazione attiva alla bellezza e alla creatività.
Creatività e bellezza si fondono con l’ampio respiro della sostenibilità ambientale e del recupero di tessuti di qualità altrimenti inutilizzati grazie a una rete di brand partner rigorosamente selezionati e locali.
E infine il progetto FASHIONREVOLUTION